Prima ancora di Hollywood e degli effetti speciali digitali, il 3D era già realtà… e ti lasciava scegliere come doveva finire la storia.
Oggi il 3D è quasi dato per scontato. Vai al cinema, ti metti quei soliti occhialetti (a volte un po’ scomodi), ti siedi, e ti ritrovi dentro a mondi costruiti per saltarti letteralmente in faccia. Ma questa “magia” visiva che oggi consideriamo moderna, quasi futuristica, in realtà ha radici molto più lontane di quanto immaginiamo. Non parlo degli anni Ottanta o Cinquanta. Parlo proprio di cento anni fa.
Quando è uscito Avatar di James Cameron, sembrava di essere entrati in una nuova era. File infinite per vedere Pandora in tutta la sua gloria tridimensionale. Dopo di lui, il 3D è esploso: weekend dopo weekend, le sale si sono riempite di film “in tre dimensioni”, spesso realizzati apposta per questo formato… e, ok, altre volte erano semplici conversioni un po’ discutibili. Però, in ogni caso, il 3D era tornato di moda.
Quello che non tutti sanno è che non è la prima volta che accade. Anzi, il primo film in 3D è molto più antico di quanto ci raccontino. Ma tipo… prima ancora che il sonoro fosse una cosa, o prima ancora che esistesse il “cinema” così come lo intendiamo oggi. Cioè, già nell’Ottocento, c’erano dei pazzi geniali che cercavano di creare l’illusione della profondità con strumenti assurdi, come il fenachistoscopio—un aggeggio che animava le immagini con un effetto stroboscopico.
Verso il 1915 ci fu anche un esperimento pubblico con occhiali rosso-verde e schermo apposito, roba futuristica per l’epoca. Ma poi, puff, spariti tutti. Fino al 1922, quando un certo Harry K. Fairall decise che era arrivato il momento di fare le cose in grande.
Quando il 3D faceva sul serio (e lasciava scegliere il finale)
Fairall era uno tosto. Un cameraman nato nel 1882 che voleva rivoluzionare il modo di guardare i film. Aveva fondato una sua compagnia, la Binocular Stereoscopic Film Company—nome difficile, sogno ancora più ambizioso. Voleva portare il pubblico dentro la storia. E per farlo usava due pellicole leggermente diverse, una per ogni occhio, abbinate a occhialetti colorati. Funzionava, eh, anche se non era esattamente comodo. Il suo film si chiamava The Power of Love, ed è passato alla storia come il primo lungometraggio in 3D mai proiettato. Era il 27 settembre 1922, all’Ambassador Hotel di Los Angeles.
Il pubblico guardava la storia di María, promessa sposa a un tipo spregevole, Don Álvarez, per salvare il padre dai debiti. Poi, un omicidio, una falsa accusa, una rivelazione… ma il bello arriva alla fine. Perché sì, il pubblico poteva decidere come finiva il film. Letteralmente. Se volevi il finale tragico, guardavi dalla lente sinistra. Se volevi che andasse tutto bene, usavi quella destra. Era un po’ come un antenato dei libri “scegli la tua avventura”, ma al cinema. E col 3D.

La fine di un sogno (e l’inizio dimenticato di un futuro)
Le recensioni furono buone, ci fu anche una proiezione per la stampa a New York. Ma la gente, onestamente, non capiva bene come funzionava tutto quel sistema. E poi—diciamolo—non era semplicissimo da replicare su scala nazionale. Alla fine, il progetto crollò. Il film venne dimenticato. E ora pare sia perduto per sempre.
L’anno dopo, nel ’23, un certo Lewis J. Selznick comprò i diritti. Togli il 3D, cambia titolo in The Forbidden Lover… e sparì anche quella versione. Fairall aveva puntato tutto sul 3D, convinto che avrebbe cambiato l’industria. E in effetti, aveva ragione. Solo che il mondo non era ancora pronto. Quasi un secolo dopo, James Cameron fece quello che lui aveva solo sognato: riportare le tre dimensioni al centro della scena. Ma sì, alla fine Fairall aveva visto giusto. Fonte: Cinematographe.
